Relatori: Giovanni Sessa e Massimo Jevolella
L’intervento di Massimo Jevolella verterà su:
Si pensa in genere che per realizzare se stessi occorra “aggiungere” qualcosa al proprio Io. Che l’imperativo sia “accrescersi”, accumulando cultura, esperienza, intelligenza, autocontrollo, purezza, potenza, eccetera. E se invece fosse vero il contrario? Se fosse meglio togliere, invece che aggiungere, come insegnano per esempio le due vie del buddhismo zen (quella dello “spolveramento” di Shen Hsiu, e quella ancor più radicale del “vuoto mentale” di Hui Neng)? In questo senso la disciplina della non violenza può configurarsi come la via iniziatica per eccellenza nella ricerca dell’autorealizzazione. Perché ogni aspetto della vita è permeato di violenza. E abbiamo dunque un gran lavoro da compiere per togliere, per svuotare, per liberarci dalla violenza che ci opprime e ci condanna al dolore. Etty Hillesum nel 1943 scrisse che non provava odio nemmeno per i nazisti che la perseguitavano. Malala ripete oggi la stessa cosa dicendo che non prova odio per i talebani che le hanno sparato. Non è una via facile, ma le esperienze della vita mi hanno insegnato che è quella migliore.
L’intervento di Giovanni Sessa si concentrerà invece su:
Evola e Michelstaedter: due volti dell’autorealizzazione. Idealismo magico e persuasione tra libertà e liberazione
Nel nostro intervento presenteremo gli elementi autorealizzativi del pensiero di Carlo Michelstaedter ed Julius Evola. Per aver contezza della reale portata dell’ idealismo magico e per aver accorto accesso all’officina teoretica, nella quale Evola elaborò la propria filosofia risulta dirimente sviluppare l’analisi del rapporto che Evola intrattenne con il pensiero di persuasione di Carlo Michelstaedter. Entrambe le filosofie furono risposte all’insecuritas, condizione esistenziale e al medesimo tempo situazione emotiva indotta dall’approccio estetico, correlativo e “rettorico”, nei confronti dell’ex-sistere, del nostro “esser fuori” . In tal senso i due filosofi si muovono nell’orbita teoretica del primo Lukács che espresse un ethos, una tensione al trovare-dare-luogo, mosso dalla certezza stirneriana che l’Assoluto, l’univoco, è soltanto il concreto, il fenomeno individuale. A patto che esso venga assunto nella sua nudità.
Michelstaedter, nel suo iter alla Persuasione autorealizzativa, incontrò il cammino delle antiche religioni misteriche – presocratiche, nelle quali la scoperta del vero sé, coincise con quello stato dell’essere che apre la comunicazione al divino. Ciò determinò l’irriducibilità della prospettiva michelstaedteriana alla visione cristiana, poiché l’assoluto in lui si determina a partire dal momento più terrestre della vita dell’uomo. Il problema è che, nel goriziano, il dato autorealizzativo si dogmatizza, diviene Mamlakah, il dominio regale della tradizione ebraica, contrapposto al regno della morte, alla rettorica, lo Sheol. E’ esattamente tale aspetto a rendere le due Vie del filosofo isontino, Persuasione e Rettorica, diverse dalle Vie di Evola (“Via dell’Altro” e “Via dell’Individuo assoluto”). Insomma, l’eleatismo della pratica michelstaedteriano comporta un radicale dualismo, in quanto il conseguimento della persuasione esclude la possibilità del ritorno della rettorica. Libertà e persuasione si trasformano in un dato, in un definitivo positum.
Al contrario, l’intento autorealizzativo evoliano muove da una prospettiva in cui l’io accade nella libertà e come libertà, è un processo dinamico includente affermazione e negazione, la possibilità assoluta. La realizzazione del filosofo romano non è pensata sull’identità logica, ma su un percorso pratico che fa coincidere la realizzazione con il processo di autoliberazione. Nel nostro intervento, pertanto, discuteremo anche le posizioni evoliane in tema di Iniziazione, altre rispetto a quelle prevalenti nel milieu tradizionalista.